Le foto artistiche di Valerio Giulianelli in America Latina Amazzonia Ecuador

indios, Foresta amazzonica, linea equatore fiume Napo

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BOLIVIA

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Percorrere questo paese, grande tre volte l’Italia,  significa stupirsi per le bellezze naturali, per il calore della sua gente e per la laboriosità delle sue città ma anche imbattersi nei simboli visibili di questo dramma sociale passando dalle foreste della pianura amazzonica, ai deserti dell’altopiano, fino alle cime delle Ande, dove le testimonianze delle origini sembrano accartocciarsi  in un groviglio inestricabile con quelle attuali. Gli Indigeni rappresentano circa il 60 per cento della popolazione a cui si aggiungono un altro 30 per cento di meticci; appartengono ai gruppi Quechua , sopravvissuti dell'antico impero incaico, di cui conservano la lingua, e Aymarà  che sono una popolazione più antica. Questa larghissima maggioranza tuttavia vive in condizioni fra le più povere del mondo, la durata media della vita non supera i 50 anni, il 65 per cento della ricchezza nazionale è tuttora in mano a pochi. La maggior parte degli indigeni della Bolivia vive sui gelidi altipiani, poveri di humus, dove anche i ritrovati dell'agricoltura moderna si rivelano incompatibili con quelle zone e si finisce per ritornare alla saggezza millenaria dell'indio. Gli indigeni su queste montagne sono riusciti a selezionare sin dalla preistoria circa 400 varietà di patate. Da epoche immemorabili hanno appreso la tecnica di liofilizzare le patate, le disidratano completamente e riescono a conservare inalterato il prodotto, il cosiddetto "chuno negro", anche per dieci anni. Per ottenerlo le patate vengono lasciate a mollo nell'acqua per ammorbidirle e poi esposte al gelo delle notti ed al calore diurno per 4 - 8 giorni, infine vengono calpestate per farne uscire completamente il liquido residuo e liberarle dalle bucce, quello che rimane è l'amido di sapore alquanto amaro, concentrato nei suoi componenti nutritivi e non deperibile, in genere aggiunto a zuppe come, ad esempio, quella ottenuta con semi di quinoa, una pianta che gli Inca chiamano « chisiya mama » che in quechua  vuol dire « madre di tutti i semi», un'ottima fonte di proteine vegetali, coltivata da 5000 anni sugli altipiani a 4000 metri e le cui migliori varietà crescono nei territori salmastri del Salar, nelle zone di Oruro e Potosì. Imprescindibile per gli indigeni è l’uso delle foglie di coca che contengono ecgonina, che ha effetto stimolante, riduce la fame, la sensazione di freddo e di fatica e sono ricche di vitamina B1 B2 e C.  La masticazione delle foglie di coca, che porta sempre con se, è di uso quotidiano, oltre che rituale in tutte le cerimonie, anche se si tratta di cerimonie religiose di origine cristiana; del resto nonostante la massiccia opera di conversione ad opera dei missionari non si può dire nemmeno che sia  avvenuto un vero e proprio sincretismo fra cristianesimo e culti locali. I contatti con l'esterno sono aumentati ma la casa, i piccoli appezzamenti di terreno e la comunità, restano il punto di riferimento fondamentale: ogni piccola unità conosce gli "altri" soprattutto in seguito ai viaggi periodici verso il villaggio comunitario ed a quelli, assai più rari, diretti in città.

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Isla del Pescado Uyuni
Deserto di Siloli fenicotteri
Hotel di sale La laguna bianca
Cimitero delle locomotive Ponte
El salar Vulcano
Pista Bradipo

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Valerio Giulianelli - Viterbo - info@fotogiulianelli.it